Nè si legge, che gli Arabi, i quali tennero in quell'intervallo il primato scientifico, e perfezionarono in alcuni punti, ma non estesero, le conquiste astronomiche dei Greci, abbiano pensato che si potesse fondare sul moto diurno ed annuo della Terra un'astronomia più semplice e più vera che quella dell'Almagesto.
Pure, mentre la face della coltura si andava estinguendo nel mondo greco-romano, udiamo nel lontano Oriente, sulle rive del Gange, ripetersi una debole eco delle speculazioni d'Eraclide Pontico. Dopo la spedizione d'Alessandro, la coltura dei Greci s'infiltrò poco a poco al di là dell'Indo durante il fiorire dell'impero dei Seleucidi, del regno Greco-Battriano, e dei principati indo-greci sulle rive dell'Indo; e sebbene la comunicazione stabilita per tal via fosse poi interrotta dai Parti, ella si rinnovò presto per le relazioni dei porti egiziani del Mar Rosso cogli scali marittimi dell'India, ed il suo risultato si manifestò in oriente ed in occidente in diversi modi. Fra le nozioni che così si fecero strada al di là dell'Indo, troviamo pure i fondamenti dell'astronomia, e sopratutto dell'astrologia. Mentre astrologhi indiani dicevano la ventura in Roma ai tempi di Giovenale618, ed il nome di Budda risuonava all'orecchio dei primi Padri della Chiesa619, i Bramini, la cui astronomia si riduceva alla scienza di alcuni cicli per uso dei riti religiosi, scopersero, che in una città dei Romaka o Romani (forse Alessandria), e specialmente per opera di alcuni infedeli o barbari chiamati Yavanas (Greci), era coltivata una nuova scienza, importantissima allora a sapersi per tutte le caste che traevano il loro potere e la loro esistenza dalla religione.
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