Allora fu tosto rivelata da Brahma, dal Sole, dal demone Maya e da altri esseri sopraumani una serie di libri astronomici intitolati Siddhanta, i quali alla loro volta ne produssero altri per opera degli uomini. E così avvenne che per l'influsso ellenico sorsero e fiorirono nell'India le scienze matematiche ed astronomiche per alcuni secoli dopo l'èra volgare. E sebbene la natura propria del genio indiano, e l'uso superstizioso a cui tutto questo studio era rivolto, abbiano trasformato e sviluppato in mille guise le nozioni ricevute, pure tracce abbastanza sensibili della fonte primitiva sono rimaste. Così il calcolo dei movimenti dei corpi celesti, il quale presso gli Indiani del VI e VII secolo troviamo quasi altrettanto sviluppato che nell'Almagesto, è essenzialmente fondato sopra una teoria degli epicicli, assai diversa da quella di Tolomeo, il cui autore, greco od indiano o caldeo che fosse, si era senza dubbio inspirato a qualche fonte occidentale. Uno degli astronomi che segnarono nella storia di quest'astronomia greco-indiana le più splendide tracce, fu il celebre Aryabhatta, nato a Pataliputra sul Gange, del quale l'epoca non è ben conosciuta, ma sembra risalire al V secolo di Cristo. Secondo in ordine di celebrità e posteriore notabilmente di tempo fu Brahmagupta, di cui l'epoca è conosciuta e stabilita intorno al 628 dell'èra volgare. Ora Brahmagupta, in una sua opera d'astronomia intitolata Brahma-Sphuta-Siddhanta620, riferisce, che Aryabhatta era persuaso della rotazione della Terra; e cita le sue precise parole, che son queste621: "La sfera delle stelle è immobile: e la Terra facendo una rivoluzione, produce il levare e il tramontare quotidiano delle stelle e dei pianeti". Al che Brahmagupta fa seguire l'obbiezione seguente: "Se la Terra si muove di un minuto in un prana622, donde viene, e dove va?
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