514 Non giustamente dunque, in un altro lavoro anteriore, io supposi (seguendo PLUTARCO, De animae procreatione in Timaeo, c. XXXI) che le distanze dei dieci corpi divini dal centro formassero presso Filolao una progressione geometrica, di cui ogni termine fosse triplo del termine antecedente. Se la distanza della Luna dal centro dell'universo fosse stata solo tre volte maggiore della distanza dalla Terra, l'ineguaglianza parallattica da ciò derivante sarebbe stata enorme. Ma confesso che la scala accennata da Plutarco sembra una creazione de' bassi tempi del Pitagorismo (v. Documento XIV). L'ordine dei pianeti in essa adottato è al tutto moderno, e differisce da quello che Stobeo attribuisce a Filolao, e che è identico a quello seguito da Platone. Trovo con piacere che H. Martin (Bullettino di Boncompagni, T. V, p. 152) ha espresso prima di me un'opinione affatto identica rispetto al valore di questo passo di Plutarco.
515 Philolaos, pp. 118-19.
516 È giusto aggiungere che lo stesso Boeckh, in un'opera posteriore, ha rinunziato a questa opinione. V. BOECKH, Manetho und die Hunds-sternperiode, p. 54. H. Martin (Bullett. Boncompagni, T. V, p. 155) dice che Filolao per compiere il numero dieci anche in riguardo alle rivoluzioni celesti, immaginò per le fisse, d'occidente in oriente, una rivoluzione lenta ed intieramente insensibile per noi. Questa lenta rivoluzione di tutto l'universo trascinando la Terra e tutti i corpi celesti (eccetto il fuoco centrale), non poteva da essa nascere alcuna variazione nei fenomeni apparenti, i quali sono tutti di moto relativo.
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