Seguendo quest’idea in modo troppo assoluto, gli astronomi che si accinsero a scriver la storia della loro scienza, non solo si occuparono assai leggermente delle speculazioni degli Ionii, dei Pitagorici e di Platone: ma di tutti i lavori della scuola di geometri, che fiorì in Grecia fra gli anni 400 e 300 a. Cristo, o parlarono inesattamente e succintamente, o tacquero affatto. Eppure in questo intervallo, e prima che cominciasse la scuola d’Alessandria, si elaborava in Grecia il materiale degli Elementi d’Euclide, si inventavano e studiavano le sezioni del cono, e si imparava a risolvere i problemi per mezzo della descrizione meccanica di linee curve. Allora fu fatto un grande e memorabile tentativo per rappresentare i fenomeni celesti con ipotesi geometriche, e queste ipotesi furono messe a cimento colle osservazioni, e rettificate dove occorreva. Da queste investigazioni, a cui non mancò alcuno dei caratteri che costituiscono una ricerca scientifica nel più stretto senso che i moderni sogliono dare a tale espressione, era nato il sistema delle sfere omocentriche, per cui tant’alto si levò presso gli antichi il nome di Eudosso da Cnido. Del quale sistema, sebbene non rimanga più alcuna esposizione completa ed ordinata, tuttavia, dai cenni che ne fecero Aristotele ed Eudemo di Rodi, e Sosigene e Simplicio peripatetici, è ancora possibile ricostruire con certezza le linee principali. Ma vedi forza del pregiudizio! Eudosso non fu uno degli Alessandrini, e fu anteriore ad Ipparco; perciò gli fu negata la qualità di astronomo, anzi anche quella di geometra6. Tanta originalità di concetto, tanta sottigliezza di costruzioni geometriche, tanti ingegnosi sforzi per avvicinarsi al risultato delle osservazioni, tanta ammirazione dei contemporanei, non trovarono grazia presso coloro che s’incaricarono di narrarci la storia dell’astronomia; e le sfere omocentriche procurarono ai loro autori assai maggior somma di biasimo che di lode.
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