Più copiose sono le memorie rimaste della scuola pitagorica e di Platone. In altra lettura18 ho descritto le ipotesi astronomiche, con cui Filolao riuscì a combinare il moto diurno dei pianeti, del Sole, e della Luna, col loro movimento periodico lungo lo zodiaco; ed ho pure indicato quanto di più certo intorno alle idee astronomiche di Platone si può ricavare dallo studio de’ suoi libri. Da tale studio emerge il fatto, che ai tempi di Filolao (440 circa) non si era fatto ancora alcun tentativo per spiegare le stazioni e le retrogradazioni dei pianeti; e dal modo avviluppato con cui Platone parla di questi fenomeni nel libro X della Repubblica e nel Timeo, sembra anzi si possa inferire, che egli medesimo non avesse neppur una idea molto precisa della legge e dei periodi con cui essi avvengono. Tuttavia egli aveva potuto convincersi dell’insufficienza delle ipotesi fino allora proposte, le quali ben potevano dare un’immagine approssimativa del modo con cui si producono le apparenze più salienti del cielo, ma non giungevano però a render ragione di tutto quello, che già a quel tempo poteva constare anche dalle più sommarie osservazioni. Un’attenzione continuata aveva posto in chiaro il movimento bizzarro e variamente inflesso dei pianeti sulla sfera celeste, e Platone stesso sentiva, che a spiegarlo ben altro occorreva, che supporre ciascun pianeta portato semplicemente in giro da una sfera ad esso speciale. Ond’egli, secondo che narrò Eudemo nella sua storia dell’astronomia19, propose agli astronomi la questione di «trovare con quali supposizioni di movimenti regolari ed ordinati si potessero rappresentare le apparenze osservate nei movimenti dei pianeti».
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