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      Circa la struttura dell’universo continuavano naturalmente a prevalere in questa scuola le idee svolte così splendidamente, ma anche così nebulosamente nel Timeo; dove la Terra, sferica ed immobile nel centro dell’universo, si supponeva circondata dalle orbite dei sette pianeti, regolati nel loro corso e nelle loro diverse velocità dai motori celesti, formanti parte dell’anima del mondo. Sulla natura e forma dei loro movimenti, e sul modo di rappresentarli geometricamente, pare si avessero idee vaghe e poco determinate.
      Aristotele era allora nel maggior fervore della sua attività speculativa. Tornato in Atene nel 335, non più come uditor di Platone, ma come capo di scuola nuova, aveva dato allo studio positivo della natura un’importanza assai maggiore che Platone non avesse fatto. Non meno persuaso che Platone della posizione centrale e della immobilità della Terra, circa il sistema ed il moto dei corpi celesti preferiva, alle immagini alquanto fantastiche dei Platonici, la forma chiara e precisa del Cosmo, che presentava alla sua mente l’ipotesi delle sfere omocentriche di Eudosso e dei matematici della scuola cizicena, corrette e completate da Callippo. Quelle ipotesi erano pure e semplici rappresentazioni geometriche dei fenomeni; consultatosi con Callippo e con Polemarco discepolo di Eudosso, Aristotele le modificò in modo da rappresentare con esse uno stato di cose realmente possibile in natura, traendone così un sistema fisico, appoggiato ad un tempo sulla speculazione filosofica e sulla osservazione diligente dei fenomeni168. E tale fu per allora la base del concetto del mondo presso i Peripatetici.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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