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      II. IL CORSO DEI PIANETI SUPERIORI.
      5. Mentre Eraclide Pontico meditava nuove idee circa il sistema del mondo, fra i matematici ed i filosofi ardeva una disputa intorno a certe difficoltà inerenti all’ipotesi delle sfere omocentriche di Eudosso, adottata da Aristotele e dalla sua scuola, come sopra fu detto. Di tali difficoltà la più formidabile era questa: che nell’ipotesi delle sfere omocentriche, ogni astro essendo condotto sopra una superficie sferica concentrica alla Terra, la sua distanza da questa ed il suo splendore (secondo le idee di quel tempo) avrebbero dovuto rimanere assolutamente invariabili; mentre invece dalle osservazioni lo splendore dei pianeti risultava molto diverso in diversi tempi, specialmente per Marte e per Venere175. Già a Polemarco, che aveva imparato il sistema omocentrico dalla voce stessa di Eudosso, questo fatto non era interamente sconosciuto; e neppure era sconosciuto ad Aristotele, il quale ne discorreva nei suoi Problemi fisici, oggi perduti. Se ed in qual modo eludessero la difficoltà, non è più possibile congetturare. Ancora molto tempo dopo si continuò a disputare su questo argomento; si cita in proposito il matematico Aristotero (maestro di Arato poeta), contro il quale scrisse di ciò una dissertazione un altro matematico più noto, Autolico di Pitane; e sembra che il tentativo di quest’ultimo per sciogliere la difficoltà non fosse molto felice. L’impossibilità di spiegare colle ipotesi d’Eudosso la variazione dello splendore apparente di alcuni pianeti fu la causa principale, per cui in progresso di tempo quelle ipotesi furono abbandonate dagli stessi Peripatetici, i quali da principio le avevano con tanto favore adottate.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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