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      Dal modo con cui si esprime Simplicio, una tale esclusione sembra probabile, sebbene non possa dirsi assolutamente certa.
      31. Questo insieme di testimonianze, lasciando per ora da parte qualche contraddizione secondaria di cui non è difficile rendersi conto in scrittori quasi tutti assai posteriori all’evento, ci conduce con discreta concordia a cercare presso i Pitagorici il primo concetto di rappresentare le irregolarità planetarie sovrapponendo all’antica rivoluzione circolare ed uniforme intorno alla Terra, un altro moto circolare ed uniforme intorno ad un secondo centro. La prima questione che si presenta è di sapere, a quali Pitagorici qui si faccia allusione. — Su questo punto osserviamo in primo luogo, esser senz’altro escluse da queste considerazioni le scuole dei Neopitagorici; delle quali, secondo che espone lo Zeller204, cominciano a manifestarsi indizi certi soltanto verso la metà del secolo che precedette l’èra volgare; mentre Apollonio, autore di eleganti teoremi sugli eccentrici e sugli epicicli, visse circa un secolo e mezzo prima, esssendo stato contemporaneo d’Archimede, e soltanto di lui un poco più giovane205. — Noteremo in secondo luogo, che il problema di trovare «in qual modo per mezzo di movimenti circolari ed uniformi si potrebbero rappresentare i fenomeni» proposto dai Pitagorici secondo Gemino, è identico nella sostanza a quello che Eudemo fa proporre da Platone, «con quali supposizioni di movimenti regolari ed ordinati si potessero rappresentare i fenomeni osservati nei movimenti dei pianeti». — Ora se all’epoca di cui qui si discorre (suppongo intorno all’anno 365 o non molto prima; Eudosso che sciolse il detto problema col mezzo delle sfere omocentriche morì ancor giovane intorno al 355) i Pitagorici ne avessero già data una soluzione plausibile per mezzo degli eccentri e degli epicicli, Platone non l’avrebbe certamente ignorata, e non avrebbe proposto una seconda volta lo stesso problema quasi nei medesimi termini.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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