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      VII. - La difficoltà di far prevalere nell’opinione universale la mobilità della Terra contro i dogmi ritenuti per indiscutibili dai Platonici, dai Peripatetici, e poco dopo anche dagli Stoici, non permise che le idee di Eraclide e di Aristarco portassero i loro frutti. Quando i matematici finirono per convincersi, che le ipotesi d’Eudosso e di Callippo erano insufficienti a salvare i fenomeni, si diedero ad escogitare nuove ipotesi, che non contradicessero ai placiti delle scuole dominanti. A tale scopo essi abbandonarono il principio, tenuto fermo fin allora, che ogni circolazione di un astro dovesse farsi intorno alla Terra, od almeno intorno ad un altro astro. Profittando dall’idea del moto epiciclico, applicata già da Eraclide ai pianeti inferiori, e dell’altra idea dell’eccentro mobile, assegnato da Eraclide ai pianeti superiori, essi dimostrarono che si potevano rappresentare le apparenze di tutti e cinque i pianeti colla sola ipotesi degli epicicli, purchè si abbandonasse la condizione che il centro dell’epiciclo fosse designato in natura da un segno qualunque visibile; e così riuscirono al sistema degli epicicli mossi su deferenti concentrici alla Terra, che fu poi generalmente adottato fino ad Ipparco, e ancora da altri dopo di lui. Questo sistema aveva il grande vantaggio di prestarsi bene a rappresentare i movimenti celesti per mezzo di sfere solide, surrogatesi poco a poco alle sfere d’Eudosso nelle scuole, specialmente dei Peripatetici. Aveva inoltre il pregio di introdurre una certa uniformità nelle ipotesi di tutti e sette gli astri erranti, non escludendo la Luna ed il Sole.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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