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      1. Una prima occasione di dubbio sorge dall’esame dell’Almagesto, quale ci fu conservato dalla tradizione degli Arabi: della quale due fonti soltanto sono a me accessibili. La prima sta nella traduzione dell’Almagesto fatta intorno al 1175 da Gerardo di Cremona sopra una versione arabica, e pubblicata a Venezia nel 1515262. Noi possiamo considerarla (salvo gli errori dell’interprete, non pochi nè piccoli) come rappresentante il testo arabico adoperato da Gerardo. L’altro fonte di tradizione arabica ci è somministrato dal Catalogo stellare unito all’Uranografìa di Alsûfi; il quale Catalogo, per quanto concerne le denominazioni delle stelle, si può considerare come una traduzione dell’Almagesto263, la diversità delle posizioni e delle grandezze non dovendo qui entrare in conto. L’opera di Alsûfi risale alla metà del secolo X. Io appongo qui sotto le indicazioni di Gerardo da Cremona e di Alsûfi per ognuna delle sei stelle considerate, conservando l’idioma latino e francese rispettivamente usati nelle versioni di Gerardo e di Schjellerup. Vi ho aggiunto il testo originale greco secondo Halma.
      ARTURO.
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      Quae est inter duas coxas: et est ea quae dicitur ascimech aremeah: et nominatur audiens.
      L’ETOILE QUI SE TROUVE ENTRA LES CUISSES, NOMMEE AL-SIMAK AL RAMIH.
      ALDEBARAN.
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      Lucida quae trahit ad aerem clara valde et ex forma aldebaran quinta: et est ut cerea.
      LA BRILLANTE QUI TIRE SUR LE ROUGE ET QUI APPARTIENT A LA FIGURE DU DAL, DANS L’OEIL MERIDIONAL, NOMMÉE AL-DEBARAN.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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