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      Qui gli eccentri fissi e mobili e gli epicicli sono diventati strumenti d’uso corrente per rappresentare qualunque anomalia, press’a poco come oggi nell’Astronomia e nella Fisica si applicano dappertutto la serie di seni e coseni e le funzioni sferiche. In quel tempo cadono altresì i tentativi di determinare, oltre alla disposizione del sistema cosmico, anche le dimensioni delle sue diverse parti. Un discreto successo era stato raggiunto da Eratostene nella sua misura della Terra, e da Ipparco nella determinazione della distanza e grandezza della Luna. Ma della distanza del Sole non si cominciò ad aver un’adeguata idea che alla fine del secolo XVII.
      Il dovere dello storico obbliga l’autore ad accompagnare le idee cosmologiche nel loro moto retrogrado attraverso i secoli del Medio Evo, durante i quali la luce della scienza, quasi del tutto estinta in Occidente, fu conservata più o meno fedelmente presso le grandi nazioni orientali, e principalmente presso gli Arabi. Questi ultimi nei loro calcoli generalmente si attennero alle teorie dell’Almagesto, modificando soltanto le costanti secondo le nuove osservazioni, senza introdurre del resto novità di molta importanza. Ma dopo che le teorie aristoteliche ebbero acquistato favore anche presso di loro, si nota una tendenza a ritornare verso le ipotesi omocentriche adottate come sue da quel gran filosofo. Interessanti sono le notizie che porge l’autore sulle innovazioni proposte nel secolo XII da Ibn Badja di Saragozza, il quale proponeva l’abolizione degli epicicli; e su quelle di Ibn Tofeil di Granata o del suo discepolo Alpetragio, i quali, aboliti anche gli eccentri, ritornarono a dottrina puramente omocentrica.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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