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      Anche Averroè non era soddisfatto delle ipotesi tolemaiche. In Oriente Eddin (secolo XIII) immaginò un suo proprio sistema composto di sfere centrate ed eccentriche in tanto numero e con movimenti ì complicati, da non potersi certamente considerare come un progresso rispetto alle ipotesi dell’Almagesto. Nessuno però di queelaborò completamente le proprie teorie, e le condusse al punto da derivarne un calcolo della posizione degli astri e da cimentarle colle osservazioni. Lo stesso dicesi dei sistemi omocentrici esposti dal Fracastoro e da G. B. Amici ancora nel secolo XVI, dei quali pure il nostro autore cerca di dare qualche idea. Tutti questi tentativi di riforma nulla hanno giovato a rettificar le idee, anzi devono considerarsi come inutili al progresso della scienza vera. Tutti caddero presto in dimenticanza, come frutti disseccati di giungere a maturazione.
      I quattro ultimi capitoli dell’opera sono consacrati ad esporre ci? che giustamente fu chiamato la Riforma dell’Astronomia. riforma fu opera di una serie di grandi uomini, i quali si succedettero sulla scena nell’ordine e nel tempo in cui il concorso di ciascuno era più necessario. Copernico aveva bensì dimostrato, che coll’ipotesi eliocentrica era possibile rappresentare i fenomeni con precisione uguale od anzi superiore a quella dell’Almagesto; ma per raggiungere questo intento non ebbe altri strumenti a sua disposizione, che gli eccentri e gli epicicli degli antichi. La maggior semplicità della sua costruzione non era quindi così evidente come apparve più tardi; onde fu detto giustamente che Copernico in realtà era assai più ricco di quanto egli stesso credesse.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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