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      Al pari di molti altri astronomi arabi, Albatenio fece uso di strumenti assai più grandi e più perfetti di quelli di cui si ha memoria presso i Greci. Se è vero ch’egli fosse figlio di un celebre meccanico, non gli sarà mancata l’occasione di addestrarsi molto bene nel maneggio degli strumenti, se non forse nella loro stessa costruzione. Per le altezze meridiane sembra che lo strumento da lui preferito fosse l’Alhidada longa ossia il triquetro parallattico al modo di Tolomeo, equivalente, com’egli assicura, ad un circolo del diametro di 10 cubiti. Inoltre egli si serviva di un quadrante murale del raggio di due cubiti. Il tempo egli lo determinava di notte coll’altezza di stelle conosciute, di giorno coll’aiuto di un orologio orizzontale o verticale. Dell’abilità sua nell’inventare nuovi strumenti è documento notevole l’elegante astrolabio munito di globo celeste, che è descritto da p. 139 a p. 141 e figurato a p. 320. Con questi apparati così perfetti non solo Albatenio superò di gran lunga i Greci in precisione, ma riuscì a determinazioni anche più esatte che quelle degli astronomi del califfo Almanun, le quali non sembra fossero conosciute da lui, sebbene precedessero le sue di mezzo secolo soltanto. Mediante le altezze meridiane del Sole misurate al triquetro determinò l’obliquità dell’eclittica in 23° 35', la quale, riferita all’anno 880 non dà che un errore di 26" rispetto al calcolo dei moderni. Ancora col medesimo strumento egli riuscì a determinare gli equinozi entro una o due ore di tempo.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo II
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 438

   





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