Lo stesso dicasi degli Arabi e dei Tartari, i quali anche più direttamente possono considerarsi come discepoli dei Greci. Ma non per ciò sembra che si debba tacere affatto di loro. Le diverse vie per cui questi uomini di stirpe così diversa e di così diverso tipo intellettuale, si applicarono a risolvere i medesimi problemi; le nuove forme che nelle loro mani assunsero i teoremi e i procedimenti di calcolo loro venuti per trasmissione diretta, o per mezzo di intermediari, da Babilonia e da Alessandria, destano il più vivo interesse. Quale differenza fra l’Almagesto e il Sûrya-Siddhanta! Questo studio è degno di richiamare l’attenzione dell’astronomo, ma forse ancora più quella dell’etnografo. Il quale, dopo di aver esaminate in modo comparativo le religioni, le leggi, le lettere, i costumi, le lingue dei vari popoli della Terra, non avrà compiuto il suo lavoro se non avrà preso in considerazione anche i prodotti dell’intelligenza e della riflessione; cioè i passi che ciascuno di quelli ha fatto nelle scienze, e specialmente nelle scienze di raziocinio matematico puro od applicato ai fenomeni della natura.
Appena minore, se pur minore, è l’interesse etnografico delle ricerche comparate sull’astronomia primitiva di quei popoli, che non giunsero ad elevarsi alla contemplazione scientifica propriamente detta, e non oltrepassarono, o oltrepassarono di poco, il limite delle prime e più ovvie cognizioni. Qui abbiamo una vastissima materia, la quale offre all’indagatore il destro di confrontare lo sviluppo indipendente delle idee astronomiche presso nazioni diversissime di tempo, di luogo e di attitudini intellettuali; sviluppo che molte volte si riconoscerà determinato dalla stirpe, dalle tradizioni religiose, dal clima, dalle occupazioni quotidiane, e perfino dalla latitudine del paese dov’esse abitano od hanno abitato.
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