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      Il più conosciuto dei sistemi di calendario puramente lunare è quello degli Arabi, in cui si conta il tempo per lune e per dozzine di lune, impropriamente chiamate anni. Esso è nato dal desiderio di conciliare il periodo, così comodo e così facile ad osservare, della Luna col corso del Sole e col ciclo delle stagioni; intento che raggiunge in modo straordinariamente imperfetto anche nelle più semplici applicazioni della pratica. Questo calendario, usato da tempo immemorabile tra i figli del deserto non avvezzi alla regolarità di computo richiesta dai lavori dell’agricoltura, in seguito alle conquiste dell’Islam, con lavoro tenace di dodici secoli e più si è venuto progressivamente estendendo sopra una parte notabile dell’antico continente, dal Capo Verde alle Molucche e da Kasan a Mozambico e all’isola di Madagascar, anche fra popoli essenzialmente agricoltori, malgrado il suo difetto di rappresentare assai male il ritorno delle stagioni.
      Ma se nel computo arabico si ravvisa ancora l’intenzione di aver qualche riguardo al periodo del Sole, dessa è affatto posta da parte in altri calendari. In quello dell’Uganda per esempio, il periodo più grande è di cinque lune, se dobbiamo credere al celebre viaggiatore Speke8. I Muysca di Bogotà nelle Ande Colombiane avevano un anno civile di venti lune9. Sembra pure che si possa mettere in questa categoria il cosidetto anno di Romolo, al quale parecchi illustri scrittori concordemente attribuiscono la durata di dieci mesi10, cioè di dieci lune probabilmente.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo III
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 336

   





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