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      Un elemento a ciò indispensabile è la cognizione alquanto precisa del numero di giorni contenuti nell’anno solare. Ora questa difficilmente si può dedurre dall’osservazione del ritorno delle medesime stagioni, dei medesimi fenomeni di vegetazione, delle medesime vicende dell’atmosfera, come piogge, temperature o altro. Soltanto chi osservi i fenomeni celesti dipendenti dal moto del Sole può giungere all’intento; sia studiando le variazioni annue del corso apparente del Sole col gnomone o con altro apparato, sia notando le apparenze diverse che presenta il cielo stellato nelle varie epoche dell’anno, e specialmente i tempi in cui cominciano certe stelle ad esser visibili emergendo dal crepuscolo mattutino, o cessano di esser tali immergendosi nel crepuscolo vespertino. Il primo sistema appartiene ad un’astronomia già alquanto perfezionata, e non se ne ha memoria che presso nazioni colte, come i Babilonesi che l’insegnarono ai Greci, i Cinesi e i Peruviani, dai quali pare l’abbiano appreso anche gli Araucani. L’altro metodo invece può esser praticato facilmente senza apparati: oltre ad un’attenzione continuata all’aspetto del cielo mattutino, richiede una esatta numerazione dei giorni continuata per lungo tempo. Notando per un certo numero di stelle più luminose le apparizioni mattutine e le disposizioni vespertine (secondo il termine tecnico, il loro levare eliaco e il loro tramontare eliaco), si possono ottenere lungo l’anno tanti punti di riferimento, quanti può far comodo di avere per segnare le epoche dei lavori agricoli, venatorii, nautici ecc., e procurarsi così nella sfera stellata, un calendario di sufficiente esattezza e di grande utilità pratica.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo III
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 336

   





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