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      Strabone, il quale fu in Egitto pochi lustri dopo Diodoro Siculo, narra nel libro XVII della Geografia che «i sacerdoti (egiziani) erano molto periti nella scienza delle cose celesti, ma misteriosi, e poco pieghevoli a partecipare altrui quanto sapevano; sicché ben poterono col tempo e colle buone maniere quei filosofi (Platone ed Eudosso) indurli a chiarir loro alcuni teoremi, ma i barbari nondimeno celarono poi loro la maggior parte di quel che sapevano. Laonde, sebbene i sacerdoti avessero aggiunto ai 365 giorni dell’anno quelle porzioni del giorno e della notte che ne compiono il corso, nondimeno e il corso dell’anno e parecchie altre cose non furono pienamente note agli Elleni fintantoché gli astronomi più recenti non le impararono da coloro che tradussero in greco le memorie dei sacerdoti egizi; come anche oggidì attingono cognizione così da quelle memorie come da quelle dei Caldei». Poi altrove nello stesso libro: «Dicesi che i sacerdoti di quel paese (Tebe) sono astronomi e filosofi valentissimi. È per opera loro che si computa il tempo, non secondo la Luna, ma secondo il Sole: essi aggiunsero ai 12 mesi di 30 giorni cinque altri giorni ogni anno, ed a compimento dell’anno intiero, poiché restava una piccola porzione di giorno, immaginarono un certo periodo di giorni e d’anni, in capo al quale, aggiungendo le piccole porzioni che restano, se ne formasse lo spazio d’un giorno. Tutta questa loro dottrina attribuirono ad Ermete». Di questi due testi, il secondo ci informa di una cosa di cui nessuno può dubitare, che cioè già da tempo gli Egiziani sapevano esser l’anno di 365 giorni e un quarto.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo III
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 336

   





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