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      Come si vede, in questi calcoli può nascere una certa ambiguità proveniente dalla differente durata dei mesi, la quale può esser ad arbitrio supposta di 29 o di 30 giorni. Ciò avviene tutte le volte che nella somma dei giorni si eccede il numero 29. Nelle sue tavole l’autore delle Effemeridi ha evitato tale inconveniente usando due precauzioni. Prima col fare relativamente piccolo il numero dei giorni nelle sue radici (da 2 a 13). Cosi in nessuna delle date la somma dei giorni eccede 17 nella prima tavola e 25 nella seconda; ciò che non sarebbe avvenuto per esempio, se egli avesse fatto progredire le radici, non di un mese e un giorno, ma di un mese e due giorni o di un mese e tre giorni ecc. In secondo luogo, limitando le predizioni a due fenomeni consecutivi a quello che effettivamente è stato osservato. Se per esempio egli avesse voluto aggiungere alle sue tavole una colonna di più e predire tre fenomeni invece di due, tale colonna sarebbe riuscita così:
     
      dove già in una delle date il numero dei giorni eccede il 29, ed è quindi di dubbioso significato, potendosi indifferentemente interpretare come 30 di Dûzu o come 1 di Abu.
      Interessante non solo per l’astronomia antica, ma anche per la moderna è la determinazione dei quattro intervalli di visibilità e d’invisibilità di Venere durante una rivoluzione sinodica: tanto più che in queste cose l’osservatore moderno non ha alcun vantaggio sull’antico, anzi nel più dei casi gli è inferiore per acutezza di vista, per trasparenza di atmosfera e per l’esercizio dell’osservare ad occhio nudo.


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Scritti sulla storia della astronomia antica
Tomo III
di Giovanni Virginio Schiaparelli
pagine 336

   





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