Però non è facile trovare un male che non abbia alcun compenso; così succede che i duskolos, cioè i caratteri cupi ed inquieti, avranno, è vero, a sopportare alla fin fine più disgrazie e dolori immaginari che non i caratteri allegri e spensierati, ma in cambio incontreranno meno sventure effettive, perchè chi vede tutto nero, chi teme sempre il peggio e prende le sue misure in conseguenza, non avrà delusioni così frequenti come colui che dà colore e prospettiva ridente ad ogni cosa. Nondimeno quando un’affezione morbosa del sistema nervoso o dell’apparecchio digestivo viene a dar forza ad una duskolia innata, allora questa può giungere a quell’alto grado in cui un malessere permanente produce il disgusto della vita, d’onde proviene l’inclinazione al suicidio. Il quale può allora esser provocato dalle più piccole contrarietà; ad un grado molto elevato del male non havvi nemmeno bisogno di motivo, per risolvervisi basta la sola permanenza del malessere. Il suicidio si compie allora con sì fredda riflessione e con sì inflessibile risoluzione che a questo stadio il malato, posto d’ordinario sotto custodia, profitta, lo spirito costantemente fisso su questa idea, del primo momento in cui la sorveglianza sia rilassata per ricorrere senza esitazione, senza lotta e senza paura, a questo mezzo di sollievo per lui così naturale in questo momento, e così ben venuto. Esquirol ha descritto molto a lungo tale stato nel suo Trattato delle malattie mentali. È certo che l’uomo il più sano, e fors’anco il più gaio, potrà, capitando il caso, determinarsi al suicidio; ciò succederà quando l’intensità dei dolori o d’una sventura prossima ed inevitabile sarà più forte dei terrori della morte.
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Trattato
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