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      La sua inclinazione naturale lo porterà dunque, sotto questo rapporto, ad accomodare quanto meglio possibile l’oggettivo col soggettivo, vale a dire a premunirsi come meglio potrà contro quella sorgente di dolori che lo attacca più facilmente. L’uomo intelligente aspirerà prima d’ogni altra cosa a fuggire qualunque dolore, qualunque contesa, ed a trovare riposo ed agi; cercherà dunque una vita tranquilla, modesta, riparata per quanto è possibile contro gl’importuni; dopo aver mantenuto per qualche tempo relazioni con ciò che si chiama gli uomini, ei preferirà una esistenza ritirata, e, se sarà uno spirito assolutamente superiore, sceglierà la solitudine. Perocchè più un uomo possiede in sè stesso, meno ha bisogno del mondo esterno, e meno gli altri possono essergli utili. Così la superiorità dell’intelligenza conduce all’insociabilità. Ah! se la qualità della società potesse esser surrogata dalla quantità, varrebbe la pena di vivere pur anche nel gran mondo; ma, pur troppo, cento pazzi messi in mucchio non fanno un uomo ragionevole. L’individuo collocato all’estremo opposto, non appena il bisogno gli dà tempo di riprendere fiato, cercherà ad ogni prezzo passatempi e società; e s’accomoderà con tutto, non fuggendo che sè stesso. Si è nella solitudine, là dove ciascuno è ridotto alle sue sole risorse, che si scorge quanto si ha per sè stessi; là l’imbecille, sotto la porpora, sospira schiacciato dal peso della sua miserabile individualità, mentre l’uomo altamente dotato, popola ed anima co’ suoi pensieri la contrada la più deserta.


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Aforismi sulla saggezza nella vita
di Arthur Shopenhauer
Editore Dumolard Milano
1885 pagine 282