Anzi, con l’età, quasi tutte fatalmente si esauriscono; perchè allora amore, voglia di divertirsi, passione pei viaggi e per cavalcare, attitudine a far figura nel mondo, tutto questo ci abbandona; la morte ci toglie perfino amici e parenti. A questo momento, più che mai, è importante sapere ciò che si ha da sè stessi. Non v’ha che questo, infatti, che resisterà più lungamente. Intanto in ogni età, senza differenza, ciò è e resta la sorgente vera, e sola permanente della felicità. Perocchè non vi è molto da guadagnare a questo mondo: la miseria ed il dolore lo empiono, e per quelli che hanno sfuggiti questi mali, la noia è là che li insidia da ogni banda. Inoltre d’ordinario è la perversità che regna, e la stoltezza che parla più forte. Il destino è crudele, e gli uomini sono miserabili. In un mondo siffatto colui che ha molto in sè stesso è simile ad una camera dell’albero di Natale, illuminata, calda, gaia, in mezzo alle nevi ed ai ghiacci d’una notte di dicembre. Per conseguenza, aver un’individualità ricca e superiore, e sopratutto molta intelligenza costituisce senza dubbio la sorte più felice sulla terra, per quanto ciò possa esser differente dalla sorte la più brillante. Sicchè quanta saggezza nell’opinione emessa su Descartes dalla regina Cristina di Svezia in età di appena diciannov’anni: Il signor Descartes è il più felice di tutti i mortali, e la sua condizione mi sembra degna d’invidia (Vie de Descartes par Baillet, l. VII, c. 10). Descartes a quell’epoca viveva da vent’anni in Olanda nella più profonda solitudine, e la regina lo conosceva solamente per quanto le era stato raccontato e per aver letto una delle sue opere.
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