Bisogna solo, e ne era precisamente il caso in Descartes, che le circostanze esterne sieno abbastanza favorevoli per permettere di possedersi, e d’esser contenti di sè stessi; per questo l’Ecclesiaste diceva già: La saggezza è buona con un patrimonio e ci aiuta a rallegrarci alla vista del sole (7, 12).
L’uomo cui, per un favore della natura o della fortuna, questa sorte è stata accordata, starà attento con cura gelosa perchè questa sorgente interna di felicità gli resti sempre accessibile; per ciò occorrono indipendenza ed agi.
Li acquisterà dunque ben volentieri colla moderazione e col risparmio, e tanto più facilmente perchè egli non è ridotto, come gli altri uomini, alle sole sorgenti esterne dei piaceri. Ed è per questo che la prospettiva delle cariche, dell’oro, dei favori regali, e l’approvazione del mondo non lo indurranno a rinunziare a sè stesso per adattarsi alle vedute meschine od al cattivo gusto degli uomini. Al caso, ei farà come Orazio nella epistola a Mecenate (L. 1, ep. 7). È una gran pazzia perdere all’interno per guadagnare all’esterno, in altri termini abbandonare, in tutto o in parte, il proprio riposo, gli agi e l’indipendenza per il fasto, il grado, le pompe, i titoli, gli onori. Goethe però l’ha fatto. In quanto a me, il mio genio mi ha tratto energicamente nella via opposta.
La verità, qui esaminata, che la sorgente principale della felicità vien dall’interno, si trova confermata da una giusta osservazione di Aristotele nella Morale a Nicomaco (I, 7; e VII, 13, 14); egli dice che ogni piacere suppone un’attività, quindi l’impiego di una forza, e che non può esistere senza di questa.
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