Di fronte a tutto ciò che precede, bisogna considerare d’altra parte che, in seguito ad un’attività preponderante dei nervi, le grandi facoltà intellettuali producono un aumento eccessivo dell’attitudine a sentire il dolore sotto tutte le forme; che inoltre il temperamento passionato che ne è la condizione, come pure la vivacità e la perfezione più grande di ogni percezione, che ne sono inseparabili, danno alle emozioni così prodotte una violenza senza confronto più forte; ora si sa che le emozioni dolorose sono molto più frequenti che le piacevoli; finalmente bisogna anche ricordare che le alte facoltà intellettuali fanno di chi le possiede un uomo straniero agli altri uomini ed alle loro agitazioni, visto che più questi possede in sè stesso, meno può trovare in altrui. Mille oggetti per i quali costoro prendono un piacere infinito, a lui sembrano insipidi e ripugnanti. Forse in tal maniera la legge di compensazione che regna dovunque, domina egualmente qui pure. Non si è forse preteso bene spesso e non senza qualche apparenza di ragione, che in fondo l’uomo più povero di spirito è il più felice? Comunque si sia, nessuno gl’invidierà questa felicità. Io non voglio antecipare sul lettore per la soluzione definitiva di tale questione, tanto più perchè Sofocle stesso ha espresso su ciò giudizi diametralmente opposti: Il sapere è di molto la porzione più considerevole della felicità (Antigone). Un’altra volta disse: La vita del saggio non è la più piacevole (Ajace). I filosofi dell’Antico Testamento non vanno meglio d’accordo tra loro; Gesù, figlio di Sirac, ha detto: La vita dello stolto è peggior della morte (22, 12); l’Ecclesiaste invece (1, 18): Dove molta sapienza, ivi molto dolore.
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