Nell’ordine inverso, in presenza d’un avvenimento felice, il peso che comprime le nostre pretese s’innalza e permette loro di dilatarsi: in ciò consiste il piacere. Ma questo pure non dura che il tempo necessario perchè l’operazione si compia; noi ci avvezziamo poi alla scala così aumentata delle pretese, e diveniamo indifferenti al possesso corrispondente della ricchezza. È quanto esprime un passo di Omero (Odissea, XVIII, 130-137) di cui presentiamo gli ultimi versi: Tale invero è lo spirito degli uomini terrestri, simile ai giorni mutevoli che adduce il padre degli uomini e degli dei.
La fonte dei nostri dispiaceri sta negli sforzi da noi sempre rinnovati per elevare il fattore delle aspirazioni, mentre l’altro fattore colla sua immobilità vi si oppone.
Non bisogna stupirsi di vedere, nella specie umana, povera e piena di bisogni, la ricchezza più altamente e più sinceramente apprezzata, fors’anco più venerata, di qualunque altra cosa; il potere stesso non è tenuto in conto se non perchè conduce alla fortuna; e neppure bisogna maravigliarsi nel vedere gli uomini metter da parte, o passar sopra a qualunque considerazione quando si tratta d’acquistar ricchezze, nel veder per esempio i professori di filosofia far buon mercato della loro scienza per guadagnar danaro. Si fa spesso rimprovero agli uomini di volgere i loro voti specialmente al danaro e di amarlo più d’ogni altra cosa al mondo. Pure è ben naturale, quasi inevitabile, di amare ciò che, simile ad un Proteo instancabile, è pronto ad assumere in ogni momento la forma dell’oggetto attuale delle nostre voglie sì mobili, o dei nostri bisogni sì diversi.
| |
Omero Odissea Proteo
|