Ogni altro bene, infatti, non può soddisfare che un solo desiderio, che un solo bisogno: le vivande hanno valore solamente per chi ha fame, il vino per chi sta bene, i medicamenti per chi è malato, una pelliccia durante l’inverno, le donne per la gioventù, ecc. Tutte queste cose non sono dunque che agatha pros ti, vale a dire relativamente buone. Il solo danaro è il bene assoluto, perchè esso non provvede unicamente ad un solo bisogno «in concreto,» ma al bisogno in generale «in abstracto.»
I beni di fortuna di cui si può disporre devono dunque esser considerati come un riparo contro il gran numero di mali e di disgrazie possibili, e non come un permesso, e meno ancora come un obbligo di aversi da procurare i piaceri del mondo. Le persone che, senza aver un patrimonio, giungono col loro ingegno, qualunque esso sia, al punto di guadagnare molto danaro, cadono quasi sempre nell’illusione di credere che il loro ingegno sia un capitale stabile, e che il danaro che frutta loro l’ingegno sia per conseguenza l’interesse del detto capitale. Così non mettono da canto alcun poco di ciò che guadagnano per farsene una rendita certa, ma spendono nella stessa misura che prendono. Ne segue che d’ordinario essi cadono in miseria quando i loro guadagni ristanno o cessano completamente; infatti il loro talento stesso, passaggero di sua natura, come lo è per esempio il genio per quasi tutte le belle arti, si esaurisce, oppure le circostanze speciali o le occasioni che lo rendevano produttivo spariscono.
| |
|