Alla prima categoria appartengono tutti coloro che; non importa per qual colpo della sorte, o per qualunque talento speciale, sono passati rapidamente dalla povertà all’agiatezza; alla seconda quelli che, nati con beni di fortuna, li hanno conservati. Costoro stanno in apprensione per l’avvenire più dei primi e sono più economi. Se ne potrebbe dedurre che il bisogno non è cosa tanto brutta come sembrerebbe visto da lontano. Però la ragione vera dev’essere piuttosto la seguente: all’uomo nato con un patrimonio, la ricchezza appare come qualche cosa d’indispensabile, come l’elemento della sola esistenza possibile, allo stesso titolo dell’aria; così ei ne avrà cura come della sua vita istessa, e sarà, in generale, ordinato, previdente ed economo. Al contrario a colui che fin dalla nascita visse in povertà, si è questa che sembrerà la condizione naturale; le ricchezze che gli potranno toccare più tardi, non importa come, gli pareranno un superfluo, buono solo per goderne e farne baldoria; egli dirà a sè stesso che quando saranno nuovamente sparite, saprà cavarsela senza di esse come per lo avanti, e che, per per di più, sarà sollevato da un fastidio. È proprio il caso di dire con Shakespeare: Bisogna che il proverbio si verifichi: il mendicante a cavallo fa galoppare la bestia fino alla morte (Enrico VI, P. 3, A. 1).
Aggiungiamo ancora che questa gente possede, non tanto nella testa quanto nel cuore, una ferma ed eccessiva confidenza da una parte nella sua buona fortuna e dall’altra nelle sue proprie risorse, che le hanno di già dato aiuto per cavarsi dalle strettezze e dall’indigenza; questa gente non considera la miseria, come fanno i ricchi di nascita, quale un abisso senza fine, ma la crede un basso-fondo che basta battere col piede per rimontarne alla superficie.
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Shakespeare Bisogna Enrico VI
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