Se nondimeno, come ce lo insegna l’esperienza, il fatto si presenta ogni giorno; se ciò che la maggior parte degli uomini stima di più si è precisamente l’opinione altrui a loro riguardo, e se essi se ne preoccupano più che di quanto, succedendo nella loro propria coscienza, esiste immediatamente per loro; se dunque, per un rovesciamento dell’ordine naturale, si è l’opinione altrui che sembra loro esser la parte reale dell’esistenza, l’altra non apparendo esserne che la parte ideale; se fanno di ciò che è derivato e secondario l’oggetto principale, e se l’immagine del loro essere nella testa degli altri sta loro più a cuore che il loro essere stesso; tale apprezzamento diretto di ciò che direttamente non esiste per alcuno costituisce quella follia a cui si è dato il nome di vanità, «vanitas» per indicare con questa parola il vuoto ed il chimerico di tale tendenza. Si può facilmente comprendere anche, per quanto dicemmo più indietro, che essa appartiene alla categoria di quegli errori che consistono nell’obliare lo scopo per i mezzi, come l’avarizia.
In fatti il prezzo che noi annettiamo all’opinione altrui e la nostra costante preoccupazione a questo riguardo passano quasi ogni limite ragionevole, talmente che tale preoccupazione può esser considerata come una specie di mania generalmente diffusa, o piuttosto innata. In tutto ciò che facciamo, come in tutto ciò che ci asteniamo di fare, noi prendiamo in considerazione l’opinione altrui quasi prima d’ogni altra cosa, e si è da una tal cura che in seguito ad un esame profondo vedremo nascere la metà circa dei tormenti e delle angoscie che abbiamo provato.
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