Ecco un brano del rapporto dettagliato pubblicato dal Times del 31 marzo 1846 sulla recente esecuzione di un certo Thomas Wix, operaio che aveva assassinato il suo padrone per vendetta: «Nella mattina del giorno fissato per l’esecuzione, il reverendo cappellano delle carceri si portò presso di lui. Ma Wix, quantunque assai calmo, non ascoltava le esortazioni del ministro di Dio; sua sola preoccupazione era quella di far mostra d’un coraggio estremo in presenza della folla che stava per assistere alla sua brutta fine. E vi è riuscito. Arrivato nel cortile che doveva traversare per giungere al patibolo, innalzato di contro alla prigione, esclamò: «Ebbene, come diceva il dottor Dodd, conoscerò fra poco il gran mistero!» Quantunque avesse le braccia legate, salì senza aiuto la scala della forca; giunto alla cima, fece a dritta e a manca saluti agli spettatori, e la moltitudine assembrata vi corrispose, in ricompensa, con formidabili acclamazioni, ecc.»
Aver davanti gli occhi la morte, sotto la forma più spaventosa, coll’eternità dopo di essa, e non preoccuparsi se non dell’effetto che si produrrà su quella massa di balordi accorsi e dell’opinione che si lascierà dopo morte nelle loro teste, non è forse un saggio unico d’ambizione? Lecomte che, lo stesso anno, fu ghigliottinato a Parigi per tentato regicidio, si rammaricava principalmente, durante il processo, di non potersi presentare davanti la Camera dei pari, vestito convenientemente, ed anche al momento dell’esecuzione era suo gran dolore che non gli si avesse permesso di radersi la barba prima di salire il patibolo.
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