Potrebbero mai esser tuoi amici, uomini pei quali una natura come la tua è secretamele un eterno rimprovero?
Si vede bene quanta riconoscenza tale genia deve al principio dell’onore, principio che la solleva allo stesso livello di coloro i quali le sono infinitamente superiori sotto ogni aspetto. Che un individuo siffatto scagli un’ingiuria, vale a dire attribuisca ad un altro qualche brutta qualità; se questi non lava tosto nel sangue l’insulto, questo passerà provvisoriamente per un giudizio oggettivamente vero e fondato, per un decreto avente forza di legge; l’affermazione potrà anche restare per sempre vera e valevole. In altri termini l’insulto rimane (agli occhi di tutti gli «uomini d’onore») come l’insultatore (fosse pur l’ultimo degli uomini) lo ha detto, perchè l’insultato ingoiò l’affronto (è questo il «terminus technicus»). Da allora gli «uomini d’onore» lo sprezzeranno profondamente, lo fuggiranno come se avesse la peste; rifiuteranno, per esempio, altamente e pubblicamente di andare in una società ove lo si riceve, ecc. Credo poter con certezza far risalire al medio evo l’origine di questo lodevolissimo sentimento. Infatti C. W. de Wachter (Contributo alla storia tedesca particolarmente sul diritto penale, 1845) c’insegna che fino al XV secolo nei processi criminali non spettava al denunciatore provare la reità, ma che toccava all’accusato provare la sua innocenza. Questa prova poteva darsi col giuramento di purgazione, per il quale occorrevano all’accusato i consacramentales che giurassero esser convinti ch’egli fosse incapace d’uno spergiuro.
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Wachter Contributo
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