Se l’accusato non poteva trovare garanti, o se l’accusatore li ricusava, interveniva il giudizio di Dio che consisteva ordinariamente nel duello. Perocchè «l’accusato» diveniva allora un «insultato» e doveva purgarsi dall’insulto. Ecco dunque l’origine della nozione dell’«insulto» e di tutta quella procedura che viene praticata, salvo il giuramento, anche oggigiorno fra gli «uomini d’onore.»
Tutto questo ci spiega anche la profonda indignazione d’obbligo che commuove gli «uomini d’onore» quando si sentono accusar di menzogna, e così pure la sanguinosa vendetta che ne tirano; ciò che pare tanto più strano in quanto che la menzogna è cosa d’ogni giorno. In Inghilterra sopra tutto la faccenda si leva all’altezza d’una superstizione fortemente radicata (chiunque minaccia di morte colui che lo accusa di menzogna dovrebbe, in realtà, non aver mai mentito in tutta la sua vita). Nei processi criminali del medio evo v’era una procedura ancor più sommaria, e consisteva nel replicare dell’accusato all’accusatore: «Tu hai mentito», dopo di che si faceva appello immediatamente al giudizio di Dio; da ciò deriva nel codice dell’onor cavalleresco l’obbligo di ricorrere senza ritardo alle armi quando si abbia ricevuto l’accusa d’aver mentito. Ecco quanto concerne l’ingiuria. Ma esiste qualche cosa molto peggiore dell’ingiuria, qualche cosa talmente orribile che devo domandar perdono agli «uomini d’onore» d’osare unicamente ricordarla in questo codice dell’onor cavalleresco; non ignoro che solo a pensarvi essi ne avranno i brividi e che i capelli si drizzeranno loro sulla testa, perocchè questa cosa è il summum malum, di tutti i mali della terra il più grande, più spaventevole della morte e dell’eterna dannazione.
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