» (Soirées littéraires, par C. Durand; Rouen, 1828, vol. II, pag. 300). Inoltre il passo di Platone (De leg., IX, le sei ultime pagine e XI, pag. 131, ediz. Bipont) sopra le aikia, vale a dire sulle ingiurie con vie di fatto, prova abbastanza che in quest’argomento gli antichi non supponevano nemmeno tale sentimento del punto d’onore cavalleresco. Socrate, in seguito alle sue numerose controversie, si espose molte volte alle percosse, che sopportava con tutta calma; un giorno, avendo ricevuto un calcio, non ne fece caso e disse a qualcuno che si maravigliava di ciò: «Se me lo avesse dato un asino ne porterei querela?» (Diogene Laerzio, II, 21). Un’altra volta, siccome qualcuno gli diceva: «Quest’uomo vi biasima; non vi ingiuria forse?» rispose: «No, perchè ciò che dice non si riferisce a me» (Ibid. 36). — Stobeo (Florilegium, ediz. Gaisford, vol. I, pag. 327-330) ci ha conservato un lungo brano di Musonio, brano che ci lascia scorgere la maniera con cui gli antichi consideravano le ingiurie: essi non conoscevano altra soddisfazione che quella da ottenersi per mezzo dei magistrati, e i saggi disdegnavano pur questa. Si può vedere nel Gorgia di Platone (pag. 86, ediz. Bipont) che in fatti così aveva luogo l’unica riparazione che si potesse pretendere per uno schiaffo; noi vi troviamo anche (pag. 133) riportata l’opinione di Socrate in proposito. E ciò spicca pure da quanto racconta Aulo Gellio (XX, 1) di un certo Lucio Verazio il quale si divertiva, per malizia e senza motivo alcuno, a dare uno schiaffo ai cittadini romani che incontrava per istrada; allo scopo di evitare lunghe formalità egli si faceva accompagnare da uno schiavo che portava un sacco di moneta di bronzo e che era incaricato di pagare immediatamente al passeggiero stupito l’ammenda legale di 25 assi.
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