La gloria chiamata ad esser eterna è pari alla quercia che cresce lentamente dal seme; la gloria facile, effimera somiglia alle piante annuali, rapide a crescere; in quanto poi alla gloria falsa essa è come quelle cattive erbaccie che nascono a vista d’occhio e che si cerca in tutta fretta di estirpare. E questo perchè quanto più un uomo appartiene alla posterità, o con altre parole all’umanità intiera in generale, tanto più è straniero alla sua epoca; perocchè ciò che egli crea non è destinato specialmente a questa come tale, ma come parte dell’umanità collettiva; perciò queste opere non essendo tinte del color locale del loro tempo, succede ben di sovente che i contemporanei le lascino passare inosservate. Ciò che costoro apprezzano sono piuttosto le opere che trattano delle cose fuggevoli del giorno, o che servono al capriccio del momento; queste appartengono loro completamente, vivono e muoiono con essi. Così la storia dell’arte e della letteratura c’insegna generalmente che le più alte produzioni della mente umana sono state accolte, di regola, con disfavore e sono rimaste in abbandono disdegnate fino al giorno in cui spiriti elevati, attratti da esse, hanno riconosciuto il loro valore ed hanno assegnato loro una considerazione che da quel momento conservarono costantemente. In ultima analisi tutto questo ha fondamento sul fatto che ciascuno non può realmente comprendere ed apprezzare se non quanto gli è omogeneo. Ora l’omogeneo per l’uomo d’ingegno limitato si è ciò che è limitato; per l’uomo triviale ciò che è triviale; per una mente vasta ciò che è vasto, e per l’insensato l’assurdo; quello che ciascuno preferisce è l’opera sua propria, essendo cosa della stessa natura.
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