In conclusione, la gloria è fondata su ciò che un uomo è in confronto degli altri. È dunque in essenza qualche cosa di relativo, e non può quindi avere che un valore relativo. Essa sparirebbe totalmente se gli altri divenissero ciò che è già l’uomo celebre. Una cosa non può avere un valore assoluto se non se conservando il suo prezzo in ogni circostanza; nel caso presente ciò che avrà un valore assoluto sarà dunque ciò che un uomo è per sè stesso direttamente: ecco per conseguenza la cosa che costituirà necessariamente il valore e la felicità d’un gran cuore e d’una gran mente. Ciò che v’ha di prezioso invero non è la gloria, ma il meritarsela. Le condizioni che ne rendono degni sono, per così dire, la sostanza; la gloria non è che l’accidente; questa agisce sull’uomo celebre come sintomo esterno che viene a confermare a’ suoi occhi l’alta stima ch’egli ha di sè stesso; si potrebbe dire che, simile alla luce che non diviene visibile se non riflessa da un corpo, ogni mente superiore non acquista la piena coscienza di sè che colla gloria. Ma il sintomo istesso non è infallibile, visto che esiste pure gloria senza merito, e merito senza gloria. Su questo argomento disse Lessing in modo graziosissimo: «Vi sono uomini celebri, ve ne sono che meriterebbero di esserlo». Sarebbe invero un’esistenza ben miserabile quella il cui valore o svilimento dipendesse da ciò che essa appare agli occhi altrui, e tale sarebbe la vita dell’eroe e dell’uomo di genio se il prezzo della loro esistenza consistesse nella gloria, vale a dire nell’approvazione altrui.
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Lessing
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