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      Evitare questi sembrava loro molto più importante che non procurarsi i primi. Profondamente penetrati e convinti della condizione negativa di ogni piacere e positiva di ogni dolore, essi dirigevano ogni loro sforzo allo scopo di sfuggire ai mali, e per ciò giudicavano necessario di respingere interamente ed intenzionalmente i piaceri che consideravano insidie tese per mettere l’uomo in balia del dolore.
      Certamente noi nasciamo tutti in Arcadia, come dice Schiller, vale a dire cominciamo la nostra vita pieni di aspirazioni alla felicità, al piacere, e coltiviamo la folle speranza di giungervi. Ma, regola generale, arriva ben presto il destino il quale ci afferra rozzamente e c’insegna che niente è nostro, che tutto è suo, nel senso che egli ha diritto incontestabile non solamente su quanto possediamo ed acquistiamo, sopra moglie e figli, ma anche sopra le nostre braccia e le nostre gambe, sopra i nostri occhi e le nostre orecchie, e perfino sopra quel naso che portiamo in mezzo alla faccia. In qualunque caso non passa gran tempo che l’esperienza verrà a farci comprendere che felicità e piacere sono una «fata morgana» la quale, visibile solo da lontano, sparisce quando la si avvicina, ma che in cambio pena e dolore hanno una realtà, e che si presentano immediatamente e per sè stessi senza prestarsi ad illusioni o ad aspettazioni lusinghiere. Se la lezione porta i suoi frutti, allora cessiamo dal correr dietro alla felicità ed al piacere, e ci mettiamo piuttosto a chiudere, per quanto è possibile, ogni accesso al dolore ed agli affanni.


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Aforismi sulla saggezza nella vita
di Arthur Shopenhauer
Editore Dumolard Milano
1885 pagine 282

   





Arcadia Schiller