Conosciamo così che ciò che il mondo può offrirci di migliore si è un’esistenza senza pene, tranquilla, sopportabile e ad una tal vita limiteremo le nostre esigenze allo scopo di poterne godere più sicuramente. Perocchè per non diventare infelicissimi, il mezzo più certo si è di non domandare d’esser felicissimo. È quanto riconobbe Merck, l’amico di giovinezza di Goethe, quando scrisse: «Questa brutta pretesa alla felicità, sopra tutto nella misura in cui la sogniamo, rovina tutto in questo basso mondo. Chi può liberarsene non domandando che ciò che ha davanti a sè, potrà farsi strada nella mischia» (Corrispondenza di Merck). È dunque cosa prudente abbassare ad una misura assai modesta le proprie pretese ai piaceri, alle ricchezze, al grado, agli onori, ecc., perocchè le disgrazie più grandi sono attirate su di noi precisamente da essi, da questa lotta per la felicità, per lo splendore e per il piacere. Ma una tale condotta è già saggia ed accorta per ciò solo che è molto facile essere estremamente infelice, e che è invece, non difficile, ma affatto impossibile essere molto felice. Il cantore della saggezza ha detto con ragione: «Colui che ama un’aurea mediocrità, sta lontano, sagace, dal tetto frusto per sordidezza, sta lontano, prudente, dai palazzi che destano invidia. Più forte è scosso dai venti il pino gigante: e le alte torri cadono con più fragore: le folgori poi colpiscono le cime più elevate» (Orazio, Libro II, ode 10).
Colui il quale essendosi imbevuto degli insegnamenti della mia filosofia, sa che la nostra esistenza è una cosa che dovrebbe meglio non essere e che la suprema saggezza consiste nel negarla, e nel francarsene, costui non fonderà mai grandi speranze sopra soggetto, nè situazione alcuna, non agognerà con passione ad una cosa qualunque in questo mondo, e non alzerà grandi lamenti in seguito a qualche delusione, ma conoscerà la verità di ciò che disse Platone (Rep.
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