Si può ancora considerare la sociabilità presso gli uomini come un mezzo per scaldarsi reciprocamente lo spirito, analogo al modo con cui si riscaldano scambievolmente il corpo quando, nei grandi freddi, si ammucchiano e si serrano gli uni contro gli altri. Ma chi possede in sè molto calorico intellettuale non ha bisogno di tali accumulamenti. Si troverà nel 2° vol. di questa raccolta(33), nel capitolo finale, un apologo immaginato da me su questo soggetto. Conseguenza di tutto ciò si è che la sociabilità di ciascuno è in ragione inversa del valore intellettuale; dire di qualcuno: «Egli è «molto insociabile» significa press’a poco: «Costui è un uomo dotato di facoltà eminenti».
La solitudine offre all’uomo altolocato intellettualmente due vantaggi: il primo d’esser con sè, il secondo di non esser con gli altri. Si apprezzerà grandemente quest’ultimo riflettendo a tutto ciò che il commercio col mondo porta seco in fatto di riservatezza forzata, di tormenti, ed anche di pericoli. «Ogni nostro male deriva dal non poter esser soli» ha detto La Bruyère. La sociabilità appartiene ai caratteri pericolosi e perniciosi, perocchè ci mette in contatto con individui i quali in grande maggioranza sono moralmente cattivi ed intellettualmente limitati o pervertiti. L’uomo insociabile è colui che non ha bisogno di siffatta gente. Aver abbastanza in sè per poter fare a meno della società è già una grande felicità, per ciò stesso che quasi tutti i nostri mali derivano dal mondo, e perchè la tranquillità dello spirito, che dopo la salute forma l’elemento più essenziale del nostro benessere, vi è messa in pericolo e non può esistere senza lunghi periodi di solitudine.
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La Bruyère
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