Tuttavia questa regola non ha valore che in un solo senso. Essa giova a consolarci ed a calmarci immediatamente in caso di sventura; ma quando, come avviene più di sovente, devesi attribuire la colpa, almeno in parte, alla nostra negligenza od alla nostra temerità, allora la meditazione ripetuta e dolorosa dei mezzi che avrebbero potuto prevenire il funesto avvenimento è una mortificazione salutare, propria a servirci di lezione e di ammendamento per l’avvenire. Sopratutto non bisogna cercar di scusare, colorire o impiccolire ai propri occhi i falli di cui si è colpevoli evidentemente; è necessario confessarseli e presentarseli in tutta la loro estensione, allo scopo di poter prendere la ferma decisione di evitarli in seguito. È vero però che così si viene a procurarsi il dolorosissimo sentimento della scontentezza di sè, ma «l’uomo impunito non s’instruisce.»
13.° In tutto ciò che concerne la nostra felicità o la nostra miseria bisogna imbrigliare la fantasia: quindi, anzitutto non fabbricare castelli in aria: essi ci costano troppo cari, perocchè ci è forza, subito dopo, demolirli con molti sospiri. Ma dobbiamo guardarci ben di più dal darci angoscia rappresentandoci vivacemente mali che sono solamente possibili. Che se essi poi fossero completamente immaginarî od anche possibili solo in una eventualità molto lontana, sapremmo immediatamente al nostro svegliarci da tal sogno, che tutto questo non era che illusione; in conseguenza ci sentiremmo assai più contenti della realtà che si trova esser migliore, e ne trarremmo forse avvertimento per accidenti lontani, quantunque possibili.
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