Somigliano davvero, nella loro suscettibilità, a quei botoli sulle cui zampe è così facile camminare per inavvertenza e di cui bisogna poi sopportare il guaire, od anche ad un malato coperto di piaghe e di lividure che si deve con ogni cura evitar di toccare. Ve n’ha di quelli presso i quali la cosa arriva ad un tal punto che sentono precisamente come un’offesa lo spirito ed il senno che si mostra o che non si nasconde abbastanza nel parlar con loro; non lo danno a vedere, è vero, al momento, ma in seguito colui che non ha abbastanza esperienza rifletterà e si lambiccherà inutilmente il cervello per sapere con che si abbia potuto attirare il rancore e l’odio loro. Però è altrettanto facile carezzarli e guadagnarseli. La loro sentenza quindi è d’ordinario comperata: essa non è che un decreto in favore del loro partito o della loro classe, e non un giudizio oggettivo ed imparziale. Ciò viene perchè presso di essi la volontà sorpassa di molto l’intelligenza, e perchè il loro debole intelletto è affatto sommesso al servigio della volontà da cui non può francarsi un solo istante.
Tale miserabile soggettività degli uomini che li fa riferire tutto a sè stessi, e ritornare immediatamente e in dritta linea da qualunque punto di partenza alla loro persona, è provata sovrabbondantemente dall’astrologia, che rapporta il cammino dei grandi corpi dell’universo al vilissimo io e che trova una certa relazione tra le comete in cielo e le contese e le miserie sulla terra. Ma così fu sempre, anche nei tempi più antichi (si veda per esempio Stobeo, Egloghe, L. I, c. 22, 9, pag.
| |
Stobeo Egloghe
|