Ho esposto nella mia opera principale (V. II, C. 31, p. 394 [451 della 3a ediz.]) come e perchè nell’infanzia siamo assai più portati verso la conoscenza che non verso la volontà. Precisamente su ciò è stabilita quella felicità del primo quarto della vita la quale lo fa apparire più tardi dietro di noi come un paradiso perduto. Noi non abbiamo, durante l’infanzia, che relazioni poco numerose e bisogni limitati, quindi scarsa eccitazione della volontà: la parte maggiore del nostro essere è impiegata a conoscere. L’intelletto, come il cervello, che a sette anni raggiunge tutta la sua grandezza, si sviluppa di buon’ora, benchè non diventi maturo che più tardi, e studia questa esistenza ancora nuova in cui tutto, assolutamente tutto, è rivestito della brillante vernice che gli è data dall’incanto della novità. Per questo i nostri anni d’infanzia sono poesia non interrotta. Perocchè l’essenza della poesia, e così di tutte le arti, consiste nello scorgere in ogni cosa isolata l’idea platonica, vale a dire l’essenziale, ciò che è comune a tutta la specie; ciascun oggetto ci appare così come il rappresentante di tutto il suo genere, e un caso ne vale mille. Quantunque sembri che nelle scene della nostra giovane età noi non siamo occupati se non dell’oggetto o dell’avvenimento attuale, e ciò anche solamente perchè la nostra volontà del momento vi si è interessata, in sostanza non è così. Infatti la vita, con tutta la sua importanza, si offre a noi ancora così nuova, così fresca, con impressioni così poco affievolite da un frequente rinnovarsi, che, con tutto il nostro fare infantile, ci occupiamo, in silenzio e senza marcata intenzione, a scoprire nelle scene e negli avvenimenti isolati, l’essenza stessa della vita, i tipi fondamentali delle sue forme e delle sue immagini.
| |
|