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      Noi vediamo, come lo esprime Spinoza, gli oggetti e le persone sub specie æternitatis. Quanto più siamo giovani, tanto più ogni cosa isolata rappresenta per noi il suo genere tutto intero. Tale effetto va diminuendo gradatamente di anno in anno; ed è per questo che si determina quella differenza così considerevole fra l’impressione che è prodotta su noi dagli oggetti nell’infanzia e quella che ne riceviamo nell’età avanzata. Le esperienze e le cognizioni acquistate durante l’infanzia e la prima gioventù divengono poi i tipi costanti e le rubriche di tutte le esperienze e cognizioni ulteriori, le categorie, per così dire, alle quali aggiungiamo, senza averne sempre coscienza precisa, tutto ciò che incontriamo più tardi. Così si forma, fino dai primi anni di vita la base solida del nostro modo, superficiale o profondo, di concepire il mondo; in seguito si sviluppa e si completa, ma non cangia più ne’ suoi punti principali. In virtù dunque di questa maniera di veder le cose, puramente oggettiva, per conseguenza poetica, essenziale all’infanzia, in cui è mantenuta dal fatto che la volontà è ancora ben lontana dal manifestarsi con tutta la sua energia, il fanciullo si occupa molto più a conoscere che a volere. Da ciò quello sguardo serio, contemplativo, di certi ragazzi, dal quale Raffaello ha tratto partito così felicemente per i suoi angeli, sopra tutto nella Madonna della Cappella Sistina. Per ciò egualmente gli anni d’infanzia sono tanto felici che il loro ricordo va sempre unito ad un doloroso rimpianto.


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Aforismi sulla saggezza nella vita
di Arthur Shopenhauer
Editore Dumolard Milano
1885 pagine 282

   





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