Perciò la vita gli appare come un eden: è questa quell’arcadia in cui noi tutti siamo nati. Ne deriva un po’ più tardi la sete della vita reale, il bisogno urgente di agire e di soffrire che ci caccia irresistibilmente nel tumulto del mondo. Quivi impariamo a conoscere l’altra faccia delle cose, quella dell’essere, vale a dire della volontà, che tutto viene ad attraversare ad ogni passo. Allora a poco a poco s’avvicina il grande disinganno; quando è giunto si dice: «L’età delle illusioni è passata», e pure il disinganno si fa sempre più grande e diventa sempre più completo. Sicchè possiamo dire che nell’infanzia la vita si presenta come una decorazione da teatro veduta da lontano, nella vecchiaia come la stessa decorazione veduta da vicino.
Ecco pure un sentimento che contribuisce alla felicità dell’infanzia: come nei primi giorni di primavera qualunque fogliame ha lo stesso colore e quasi la stessa forma, così nella prima giovinezza ci rassomigliamo tutti, e andiamo d’accordo perfettamente. Non è che colla pubertà che comincia la divergenza, la quale va sempre aumentando, pari a quella dei raggi d’un cerchio.
Ciò che turba, ciò che rende infelici gli anni di giovinezza, il rimanente di questa prima metà della vita tanto preferibile alla seconda, si è la caccia alla felicità intrapresa nel fermo convincimento che la si possa trovare nell’esistenza. Ecco la fonte della speranza sempre delusa, che genera a sua volta lo scontento. Le immagini ingannatrici d’un vago sogno di felicità volano davanti gli occhi nostri sotto forme capricciosamente scelte, e noi cerchiamo invano il loro tipo originale.
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