Perciò siamo durante la giovinezza quasi sempre mal soddisfatti del nostro stato e del nostro ambiente qualunque si siano, perocchè ad essi attribuiamo ciò che dovremmo sempre riferire alla inanità od alla miseria della vita umana, colle quali allora facciamo conoscenza per la prima volta, dopo esserci aspettati ben altra cosa. Si guadagnerebbe molto nel toglier di buon’ora, con adatti insegnamenti, questa illusione, propria alla gioventù, che vi siano grandi cose da trovare nel mondo. Ma succede invece che la vita si fa conoscere a noi per mezzo della poesia prima di rivelarsi colla realtà. All’aurora della nostra giovinezza le scene che l’arte ci dipinge si spiegano brillanti sotto i nostri occhi, ed eccoci tormentati dal desiderio di vederle realizzate, di afferrare l’arco baleno. Il giovane si aspetta la vita sotto la forma d’un romanzo interessante. Così nasce quell’illusione che ho descritta nel secondo volume della mia opera già citata (p. 374 [428 della 3a ediz.]). Perocchè ciò che presta il loro incanto a tutte queste immagini si è il fatto che esse sono precisamente immagini e non realtà, e che contemplandole noi ci troviamo nello stato di calma e di soddisfazione perfetta della conoscenza pura. Realizzarle vuol dire essere occupato dalla volontà, e questa porta con sè infallibilmente il dolore. Qui pure devo rimandar il lettore, cui l’argomento interessa, al secondo volume del mio libro (p. 427 [488 della 3a ediz.]).
Se dunque carattere della prima metà della vita è un’aspirazione insaziata alla felicità, carattere dell’altra metà è il timore della sventura.
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