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      Parlare a vecchi siffatti si è scrivere sulla sabbia: l’impressione si cancella quasi istantaneamente. Una vecchiaja di tale natura non è più, senza dubbio, che il caput mortuum della vita. Pare che la natura abbia voluto simbolizzare la venuta di tale nuova infanzia con quella terza dentizione, che si dichiara in qualche raro caso nei vecchi. L’indebolimento progressivo di tutte le forze a misura che s’invecchia è certamente una cosa tristissima, ma necessaria ed anche benefica: altrimenti la morte, di cui è il preludio, sarebbe troppo penosa. Perciò il principale vantaggio che procura un’età avanzata è l’eutanasia, vale a dire la morte eminentemente facile, senza malattia che la preceda, senza convulsioni che l’accompagnino, una morte per la quale non si sente di morire. Ne ho dato una descrizione nel secondo volume della mia opera, al capitolo 41, pag. 470 (536 della 3a ed.)(48). Perocchè per quanto a lungo si viva non si possede niente al di là del presente indivisibile; ma anzi la memoria perde ogni giorno coll’obblio più che non si arrichisca per l’aggiungervisi di cose nuove.
      La differenza fondamentale tra la gioventù e la vecchiaja rimane sempre questa: la prima ha in prospettiva la vita, la seconda la morte; per conseguenza una possede un passato corto ed un lungo avvenire, e l’altra l’opposto. Senza dubbio il vecchio non ha più che la morte davanti a sè, quando il giovane ha la vita; ora si tratta di sapere quale delle due prospettive offra maggiori inconvenienti, e se, tutto calcolato, sia preferibile aver la vita dietro di sè o davanti; non ha già detto l’Ecclesiaste: «Il giorno della morte val meglio che ’l giorno della nascita» (7, 1)? In qualunque caso domandare di vivere lungamente è un desiderio temerario.


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Aforismi sulla saggezza nella vita
di Arthur Shopenhauer
Editore Dumolard Milano
1885 pagine 282

   





Ecclesiaste