Ora a questo proposito conviene ad entrambe le dottrine l’ammonimento, in primo luogo, che oggetto e rappresentazione sono tutt'uno; poi, che l'essenza degli oggetti intuibili è appunto la loro azione; che proprio nell’azione consiste la realtà dell'oggetto, e la pretesa di un esistenza dell'oggetto fuori della rappresentazione del soggetto, e anche di un'essenza della cosa reale diversa dalla sua azione non ha senso di sorta, anzi è una contraddizione; che per conseguenza il conoscimento del modo d'agire d'un oggetto intuito lo esaurisce, in quanto è oggetto, ossia rappresentazione, perché all'infuori di ciò nulla rimane in esso per la conoscenza. Sotto questo rispetto adunque il mondo intuito nello spazio e nel tempo, il mondo che si manifesta come pura causalità, è pienamente reale, ed è in tutto come esso si dà: e si dà intero e senza riserve come rappresentazione, disposta secondo la legge di causalità. Questa è la sua realtà empirica. Ma d'altro lato ogni causalità è soltanto nell'intelletto e per l'intelletto; quindi tutto quel mondo reale, ossia attivo, è come tale condizionato ognora dall'intelletto, e non è nulla senza di questo. E non solo per tale motivo, ma perché generalmente non si può, a meno di cadere in contraddizione, pensare un oggetto senza soggetto, al dogmatico che spiega la realtà del mondo esterno con la sua indipendenza dal soggetto noi dobbiamo negare francamente codesta realtà. L'intero mondo degli oggetti è e rimane rappresentazione, e appunto perciò in tutto ed eternamente relativo al soggetto: ossia ha una idealità trascendentale.
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