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      Ma della logica non può dirsi nemmeno questo. Essa non è se non la consapevolezza in abstracto di ciò che ognuno sa in concreto. Quindi, come non se n'ha bisogno per respingere un falso ragionamento, così non si ricorre alle sue regole per farne uno giusto; e finanche il più addottrinato dei logici le lascia affatto da canto nell'atto del suo effettivo pensare. Questo si spiega con l'osservazione che segue. Ogni scienza consiste in un sistema di verità, leggi e regole generali, e quindi astratte, relative a un qualche genere d'oggetti. Ciascun nuovo caso particolare, che venga a capitare fra questi, viene di volta in volta determinato secondo quella nozione generale, che vale una volta per tutte; perché questa applicazione della regola generale è infinitamente più facile che non l'investigare da capo, per sé, ogni sopravveniente caso isolato; essendo che la general conoscenza astratta, una volta raggiunta, ci è ognora più agevole che l'investigazione empirica del caso singolo. Ma con la logica accade il contrario. Essa è la consapevolezza generale del modo di procedere della ragione, raggiunta mediante la diretta osservazione della ragione stessa, e l'astrazione da ogni contenuto. Ma un tal modo di procedere è per la ragione necessario ed essenziale: in nessun caso ella se ne può rimuovere, non appena sia abbandonata a se stessa. È adunque più facile e più sicuro in ogni caso speciale lasciarla procedere conformemente alla sua natura, che non metterle innanzi, in forma di legge esteriore, venuta dal di fuori, una teoria tratta appunto da quel suo procedere.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254