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      Notevole è tuttavia che in quella prima maniera d'attività, dove taluno deve eseguir da solo qualcosa in una ininterrotta operazione, il sapere, l'uso della ragione, la riflessione possono essergli perfino d'impedimento; per esempio nel gioco del bigliardo, nella scherma, nel suono d'uno strumento, nel canto. Qui dev'esser la conoscenza intuitiva a guidare direttamente l'attività: il passare per la riflessione la rende malsicura, per il fatto che scinde l'attenzione confonde l'uomo. Perciò selvaggi e uomini incolti, i quali sono pochissimo avvezzi a pensare, eseguono vari esercizi corporali, lotta con le belve, tiro dell'arco e simili, con una sicurezza e rapidità, che il riflessivo europeo non raggiunge mai, appunto perché la sua riflessione lo fa tentennare ed esitare: poi ch'egli cerca di trovar, per esempio, il posto buono, o il momento opportuno a pari distanza da due falsi estremi; mentre l'uomo semplice li coglie immediatamente, senza deviazioni. Così non m'è d'aiuto il saper indicare in abstracto per gradi e per minuti l'angolo in cui ho da adoperare il rasoio, se non lo conosco intuitivamente, ossia non lo formo naturalmente impugnando il rasoio. Nella stessa maniera ci disturba l'uso della ragione nell'apprezzamento della fisonomia: questo anche deve avvenire direttamente, mediante l'intelletto. Si dice, che l'espressione, il significato dei lineamenti si può solo sentire, ossia che appunto non rientra nei concetti astratti. Ciascun uomo ha la sua immediata fisiognomica e patognomica intuitiva: ma l'uno riconosce più chiaramente che l'altro quella signatura rerum.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254