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      Ma forse la nostra spiegazione riceve conferma e chiarimento insieme dalla distinzione di due generi del ridicolo, che appunto ne risultano. Può accadere che si siano trovati prima nella conoscenza due o più oggetti reali meno diversi (rappresentazioni intuitive) e li si abbia arbitrariamente eguagliati nell'unità di un concetto che li racchiude entrambi: questo modo di ridicolo si chiama spirito. O, viceversa, il giudizio è primo a trovarsi nella conoscenza, e si parte da esso per venire alla realtà e all'azione sulla realtà, alla pratica. In questo caso oggetti nel resto fondamentalmente diversi, ma tutti pensati sotto quel concetto, vengono ora riguardati e trattati ad un modo, fin quando la lor grande diversità in tutto il rimanente balza fuori, producendo sorpresa e stupore in chi agisce: questo genere di ridicolo si chiama buffoneria. Per conseguenza ogni ridicolo è una trovata umoristica, oppure un'azione buffonesca, a seconda che si proceda dalla discrepanza degli oggetti all'identità del concetto, o viceversa. Il primo caso è sempre volontario, il secondo sempre involontario ed imposto esteriormente. Aver l'aria di permutare questi punti di partenza, e mascherare l'umorismo da buffoneria, è l'arte del buffone di corte e del pagliaccio: di chi, pur essendo ben conscio della diversità degli oggetti, li ravvicina, con celata arguzia, sotto un concetto; e partendo poi da questo, ricava dalla diversità degli oggetti, in seguito scoperta, quella sorpresa che egli stesso s'era preparata.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254