Da questa breve, ma sufficiente teoria del ridicolo appare che (facendo astrazione dall'ultimo caso citato del burlone), lo spirito si deve mostrar sempre a parole, la buffoneria invece il più sovente nei fatti, sebbene a volte si mostri anche a parole, come quando non fa che esporre il suo proposito invece di eseguirlo, o si manifesta soltanto in giudizi ed opinioni.
Alla buffoneria appartiene anche la pedanteria. Essa proviene dall'aver poca fiducia nel nostro intelletto, e dal non poterlo lasciar libero di trovare immediatamente la via giusta in ogni singolo caso; quindi lo si colloca in tutto e per tutto sotto la tutela della ragione, e ci si vuol servire sempre di questa: ossia muover sempre da concetti universali, regole, massime; ed attenervisi esattamente nella vita, nell'arte, perfino nella buona condotta morale. Di qui l'attaccamento, caratteristico della pedanteria, alla forma, alla maniera, all'espressione, alla parola; che per lei si sostituiscono all'assenza della cosa. Allora non si tarda a veder l'incongruenza del concetto con la realtà; si vede come quello non scende mai fino al particolare, e come quella universalità e rigida determinatezza non possa mai adattarsi alle fine sfumature e alle variate modificazioni della realtà. Quindi il pedante con le sue massime generali si trova sempre al disotto nella vita, e si mostra inetto, insulso, inservibile; nell'arte, per la quale il concetto è sterile, produce aborti esanimi, rigidi, artificiosi. Perfino il rispetto etico il proposito d'agir giustamente o nobilmente non può sempre essere attuato secondo massime astratte; perché in molti casi la natura delle circostanze con le loro infinite, delicate sfumature richiede una scelta della vita giusta emersa lì per lì dal carattere dell'individuo.
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