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      Mancanza di giudizio è stoltezza. Lo stolto misconosce ora la parziale o relativa differenza di ciò che per un altro riguardo è identico, ora l'identità del relativamente o parzialmente diverso. D'altronde a questa spiegazione del giudizio si può applicare la partizione che fa Kant in giudizio riflettente e sussumente, a seconda ch'esso proceda dagli oggetti intuitivi verso il concetto, o da questo a quelli; ma, nell'un caso e nell'altro, sempre facendo da intermediario tra la conoscenza intuitiva dell'intelletto e quella riflessa della ragione. Non esiste nessuna verità, che possa incondizionatamente essere ricavata solo mediante sillogismi; e il bisogno di fondarla coi soli sillogismi è sempre relativo, anzi subiettivo. Essendo sillogismi tutte le dimostrazioni per una verità nuova, non si deve cominciare a cercar una prova, bensì l'evidenza assoluta; e solo finché questa viene a mancare, è da costruire in via provvisoria una dimostrazione. Nessuna scienza può esser provata in tutto e per tutto, come un edifizio non può reggersi in aria: tutte le sue prove devono risalire ad un fatto intuitivo e quindi non più dimostrabile. Imperocché l'intero mondo della riflessione poggia e ha le sue radici nel mondo intuitivo. Ogni evidenza ultima, ossia originaria, è intuitiva: la parola stessa lo dice. Può essere empirica, oppure fondata sull'intuizione a priori delle condizioni dell'esperienza possibile: ma in entrambi i casi essa fornisce conoscenza immanente, non trascendente. Ogni concetto ha il suo valore e la sua essenza soltanto nella relazione, sia pur molto indiretta, con una rappresentazione intuitiva.


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Il mondo come volontà e rappresentazione
Tomo I
di Arthur Schopenhauer
pagine 254

   





Kant