Noi pretendiamo che ogni argomentazione logica sia ricondotta ad un'intuizione; la matematica invece si sforza a gran fatica di rigettare temerariamente l'evidenza intuitiva che le è propria e le sta sempre a portata di mano, per sostituire un'evidenza logica. Questo a noi fa l'effetto di qualcuno che si tagli le gambe, per camminare con le grucce; o del principe che nel «Trionfo della sensibilità» rifugge dalla vera, bella natura, per compiacersi d'una decorazione teatrale che la imita. Devo qui richiamare quel che ho detto nel sesto capitolo della memoria sopra il principio di ragione, e che suppongo fresco nella memoria al lettore e ben presente, sì da potervi riannodare le mie osservazioni senza spiegar daccapo il divario tra il semplice principio di conoscenza di una verità matematica, che può esser dato logicamente, e il principio dell'essere, che è la connessione diretta, conoscibile solo intuitivamente, delle parti dello spazio e del tempo. Solo il penetrare in questa dà vero appagamento e piena conoscenza; mentre il semplice principio di conoscenza rimane sempre alla superficie, facendoci sapere che qualcosa è così, ma non perché è così. Euclide ha seguito questa seconda via, con palese svantaggio della scienza. Imperocché, ad esempio, fin dal principio, dove dovrebbe dimostrare una volta per sempre che nel triangolo angoli e lati si determinano a vicenda, e sono reciprocamente causa ed effetto gli uni degli altri, secondo la forma che ha il principio di ragione nello spazio puro e che produce quivi, come ovunque, la necessità che una cosa sia così com'è, perché un'altra, da quella affatto diversa, è così com'è – invece di rivelare in questo modo a fondo l'essenza del triangolo, stabilisce alcune proposizioni frammentarie sul triangolo, scelte a suo modo, e ne dà un principio logico di conoscenza con una dimostrazione faticosa, logica, condotta secondo il principio di contraddizione.
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